Il valore del SOC nella governance della sicurezza informatica

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Il valore del soc nella governance della sicurezza informatica

Il SOC come leva predittiva e strategica nell’era della NIS2
di Luciano Quartarone e Massimo Giaimo.

In un contesto in cui le minacce informatiche evolvono con una rapidità che rende obsoleti i modelli reattivi, il Security Operation Center (SOC) non può più essere considerato un mero centro di monitoraggio, ma deve diventare il cuore pulsante di una strategia di sicurezza predittiva. La differenza tra un’organizzazione che subisce la sicurezza informatica, fra adempimenti normativi in continua e costante evoluzione e una giungla di fornitori, e un’organizzazione che la governa si gioca tutta qui: nella capacità di anticipare, leggere i segnali, anche i più deboli, intervenire prima che un evento si trasformi in un incidente di sicurezza o in una crisi. In questo cambio di paradigma, il SOC assume una centralità non solo operativa, ma strategica.

La trasformazione del SOC da componente tecnica a nodo decisionale nasce dalla consapevolezza che il perimetro da difendere non è più statico. Gli asset digitali si distribuiscono tra ambienti cloud, edge e on-premise, mentre le superfici di attacco si espandono di pari passo con la digitalizzazione dei processi aziendali e l’estensione della supply chain. In questo scenario, affidarsi esclusivamente a logiche difensive, reattive, post-evento significa rincorrere una minaccia che ha già compromesso la resilienza dell’organizzazione. È qui che l’approccio predittivo diventa un fattore critico di successo.

Un SOC moderno deve saper interpretare i dati prima ancora che diventino alert. Non si tratta solo di potenziare le capacità di calcolo e di detection, ma di inserire meccanismi di intelligence in grado di riconoscere pattern comportamentali anomali, contestualizzare le informazioni in modo dinamico, costruire correlazioni su base semantica e temporale. L’obiettivo non è sapere cosa è successo, ma cosa potrebbe succedere e come prevenirlo. Questo shift concettuale richiede un cambio radicale nella progettazione del SOC: dalla centralità della tecnologia alla centralità del contesto dell’organizzazione.

Non è un caso che la direttiva NIS 2 spinga le organizzazioni verso un rafforzamento delle capacità di monitoraggio, risposta e previsione degli eventi cyber. Il SOC, in questa prospettiva, diventa un’architettura viva, coerente con i principi della NIS 2: gestione del rischio basata su un approccio multirischio, accountability del top management, logica di difesa proattiva su scala organizzativa. È uno snodo fondamentale per dimostrare l’adozione di un approccio sistemico alla sicurezza, in grado di integrarsi con i modelli di business continuity, con le politiche di gestione della supply chain, con la governance dei dati.

Il valore strategico del SOC, dunque, non si misura più solo in tempi di risposta o il numero di incidenti gestiti. Il valore strategico del SOC va ricercato nella sua capacità di produrre consapevolezza e insight per i decision maker; nella sua capacità di abilitare la resilienza dell’organizzazione; nella sua capacità di fornire un vantaggio informativo prima ancora che operativo. Significa passare dalla logica del “respond” a quella del “foresee”, trasformando il SOC in un vero e proprio sensore organizzativo, capace di influenzare scelte, priorità e investimenti. Anche gli attuali standard tecnici devono compiere questo passo in avanti: ISO/IEC 27001, NIST CSF 2.0 e il Framework per la cybersicurezza nazionale e la data Protection, ancora non hanno nei loro domini, dimensioni e settori il “foresee”. Ciò nonostante è possibile rintracciare delle relazioni fra il SOC e questi standard. Il SOC, di fatto, è un elemento abilitante per l’implementazione operativa di quesi standard.

Nella ISO/IEC 27001 il SOC trova una collocazione come funzione di controllo e monitoraggio continuo. Contribuisce all’adempimento dei controlli dell’Allegato A, fornisce evidenze oggettive per le attività di audit e il miglioramento continuo e rende effettivo il concetto di sicurezza basata sul rischio. Il SOC è chiaramente un mezzo organizzativo e tecnologico per garantire la continuità e l’efficacia del Sistema di Gestione per la Sicurezza delle informazioni.
Rispetto il NIST CSF 2.0 il SOC si integra pienamente nelle funzioni Detect e Respond, ma supporta anche Identify e Protect. Tramite strumenti come SIEM e SOAR, consente la correlazione degli eventi, l’automazione delle risposte e contribuisce alla resilienza operativa.

Il ruolo della Threat Intelligence come componente predittiva

Nel contesto evolutivo delineato dalla Direttiva NIS2, la Threat Intelligence (TI) assume un ruolo sempre più centrale quale strumento predittivo a supporto delle funzioni strategiche e operative del Security Operations Center (SOC). Non si tratta più soltanto di “conoscere il nemico”, ma di anticiparne le mosse, comprendendo trend emergenti, pattern di attacco ricorrenti e vulnerabilità potenzialmente sfruttabili prima che vengano effettivamente utilizzate.

Da reattiva a proattiva: l’evoluzione della Threat Intelligence
Tradizionalmente, la Threat Intelligence è stata vista come una componente informativa post-evento, utile per arricchire le analisi forensi o migliorare i controlli di difesa. Nell’ottica della NIS2, che impone un approccio sistemico e proattivo alla resilienza operativa, la Threat Intelligence diventa invece una leva predittiva essenziale. Integrata nei processi decisionali del SOC, consente di:

  • identificare in anticipo nuove minacce: analizzando fonti open source (OSINT), forum underground, feed commerciali e dati interni, è possibile intercettare early indicators relativi a campagne in preparazione, attori emergenti o vulnerabilità 0-day.
  • valutare l’esposizione dell’organizzazione: correlando le informazioni di TI con l’asset inventory e il threat surface aziendale, si costruisce una mappa dinamica delle aree a maggior rischio.
  • guidare la prioritizzazione degli interventi: la threat-led defense permette al SOC di orientare le attività di detection, patching e hardening verso le minacce più rilevanti e attuali, ottimizzando l’allocazione delle risorse.

Threat Intelligence strategica, tattica e operativa
Affinché la Threat Intelligence possa realmente supportare la funzione predittiva del SOC, è necessario che operi su più livelli:
Strategico: fornire al top management scenari evolutivi del rischio cyber, supportando le scelte di investimento, partnership e sviluppo tecnologico.
Tattico: offrire al SOC e ai team di risposta (CSIRT/IRT) informazioni contestualizzate su TTP (Tactics, Techniques and Procedures), indicatori di compromissione (IOC), e metodologie di attacco osservate contro il proprio settore.
Operativo: alimentare automaticamente le tecnologie di detection (SIEM, EDR, NDR) con indicatori aggiornati e validati, aumentando l’efficacia e la velocità della risposta.

L'integrazione con il SOC nell’era NIS2
L’integrazione fluida tra Threat Intelligence e SOC rappresenta un punto di forza distintivo nell’era della NIS2. La direttiva, infatti, sollecita le organizzazioni a dotarsi di capacità di previsione e prevenzione, riconoscendo l’intelligence come uno dei pilastri per una gestione del rischio informatico efficace e documentabile.
Il SOC moderno non può più limitarsi a “monitorare e reagire”: deve diventare il cuore pulsante della sicurezza predittiva. In questo scenario, la Threat Intelligence fornisce la bussola che orienta la sorveglianza continua, la valutazione del rischio e la risposta alle minacce in tempo quasi reale.

Affinché un SOC possa essere non solo efficace ma anche sostenibile nel tempo, è essenziale che la sua progettazione si fondi su tre principi cardine: modularità, contestualizzazione e integrazione. La modularità permette di adattare il SOC all’evoluzione dell’organizzazione e del suo ecosistema digitale, consentendo scalabilità, aggiornamenti incrementali e specializzazione dei flussi operativi. La contestualizzazione, invece, impone una lettura dei segnali che non sia cieca o automatica, ma basata sulla comprensione del business e delle sue priorità. Infine, l’integrazione non riguarda solo l’interconnessione con altri sistemi di sicurezza, ma l’allineamento con i processi aziendali, le decisioni strategiche e gli stakeholder interni. Solo l’adesione a questi tre pilastri può garantire che il SOC sia percepito, vissuto e utilizzato come un vero abilitatore strategico della resilienza aziendale.

La diffusione dei SOC nelle aziende italiane resta disomogenea e inferiore alla media europea. Secondo Axitea, oltre il 40% delle grandi imprese italiane non dispone ancora di un SOC interno o esterno, rispetto a una media del 30% in Europa. Nonostante l’incremento della consapevolezza rispetto alla necessità di strutturare presidi di sicurezza centralizzati, in Italia molte aziende vedono il SOC solo come un costo elevato non comprendendone appieno i vantaggi. Finanza, telecomunicazioni ed energia risultano i comparti più avanzati, mentre le PMI manifatturiere, il commercio e i servizi non regolamentati rimangono in ritardo. A livello globale, paesi come Stati Uniti, Israele e Singapore mostrano una penetrazione molto più ampia dei SOC, anche grazie a un contesto normativo più esigente e a un ecosistema cyber consolidato. In Italia, la spinta normativa della NIS2 rappresenta un’occasione concreta per colmare il divario e far emergere l’urgenza di un approccio strutturato alla sicurezza delle informazioni.
Un SOC ben progettato può ridurre drasticamente il rischio di violazioni, i tempi di inattività, le sanzioni per mancata conformità e i danni reputazionali. Può inoltre accelerare i processi decisionali, migliorare la governance e rafforzare la fiducia degli stakeholder. In quest’ottica, il SOC si conferma un investimento strategico con ritorni sia diretti sia indiretti, misurabili in termini di continuità operativa, competitività e sostenibilità.
Perché, in ultima analisi, un’organizzazione che sa prevedere è un’organizzazione che sa scegliere. E scegliere in tempo, nel dominio della sicurezza informatica, non è un lusso: è leadership.

Nel Framework Nazionale per la Cybersicurezza e la Data Protection il SOC fornisce strumenti per l’attuazione delle funzioni di identificazione, protezione, rilevamento, risposta e recupero.

L’evoluzione del SOC in chiave predittiva non può prescindere dall’integrazione con tecnologie di orchestrazione e automazione, in particolare i sistemi SOAR (Security Orchestration, Automation and Response). L’interazione tra SOC e SOAR abilita una gestione degli eventi, degli incidenti e del rischio che non è solo più rapida, ma soprattutto più intelligente. Il SOC raccoglie, correla e interpreta dati; il SOAR agisce, automatizza e amplifica. Insieme, creano un circuito virtuoso che consente di passare dalla reazione alla proattività.
Un esempio concreto? In presenza di una minaccia emergente rilevata su un endpoint remoto, un sistema SOAR integrato può automatizzare il processo di contenimento, disconnettere l’asset dalla rete, lanciare una scansione di threat hunting e, al contempo, aprire un ticket per il team IT e informare le figure di governance. Il tutto in pochi secondi, senza intervento umano. Un altro caso: un alert su una compromissione della supply chain, ricevuto attraverso una threat intelligence esterna, può attivare in automatico una verifica sui canali di comunicazione con il fornitore coinvolto, suggerendo azioni correttive (come ad esempio la disattivazione temporanea di canali di comunicazione con il fornitore che sono considerati trusted e che potrebbero quindi essere sfruttati come Initial Access da parte di un Threat Actor) in base al rischio reale.

Adottare un approccio preventivo significa, per esempio, identificare comportamenti sospetti tra i dipendenti prima che diventino incidenti, monitorare l’esposizione web di competitor e fornitori alla ricerca di data leak che possano delineare scenari di attacco in corso e intercettare vulnerabilità esposte pubblicamente o l’approssimarsi di un attacco verso la propria organizzazione.

Un SOC efficace non si limita a ricevere alert: interpreta segnali e li trasforma in informazione operativa. Per farlo, è essenziale definire un set evoluto di indicatori da monitorare costantemente (sfruttando ad esempio progetti, presenti anche nel panorama open source, i quali sono diventati punti di riferimento fondamentali, quali MISP). Il numero e la frequenza di autenticazioni fallite da geolocalizzazioni anomale, la variazione improvvisa nei volumi di traffico in uscita da endpoint critici, la creazione di account privilegiati al di fuori delle finestre di manutenzione, oppure la comunicazione con domini di recente registrazione non presenti in whitelist. Sono segnali deboli che, se analizzati nel contesto giusto, possono anticipare attività di ricognizione o movimenti laterali. Anche la persistenza anomala di processi in background su host strategici, l’uso ripetuto di strumenti di amministrazione remota, o la modifica improvvisa dei criteri di logging su server applicativi, rappresentano pattern comportamentali che meritano attenzione. Fondamentale è inoltre il monitoraggio constante del panorama relativo alle infezioni da malware di tipo infostealer, che negli ultimi anni è diventato di gran lunga il vettore principale che consente di recuperare un accesso iniziale verso le risorse dell’organizzazione target. L’obiettivo è costruire una sorveglianza adattiva, capace di cogliere l’insolito nel quotidiano, e di farlo prima che diventi incidente.